Il naufragio del “Benintendi” 1 aprile 1928

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Descrizione

PRESENTAZIONE

Nel leggere questo studio del nostro Ruggero Donaggio per stendere qualche riga di presentazione, sono riaffiorati in me – non chioggiotto di nascita, ma cavarzerano – ricordi d’infanzia legati ad una figura straordinaria che ha segnato i primi anni della mia vita e ha discretamente accompagnato anche i successivi, durante la mia formazione. Si tratta della suora canossiana madre Ester Laggia, una “maestra” e “superiora” esemplare, sapiente e saggia, affabile e materna, prudente e determinata, intraprendente e rasserenante: resse per molti anni – vi rimase per 25, dal 1954 – la scuola dell’infanzia (allora asilo infantile) “Santi Innocenti Martiri” di Boscochiaro (denominazione che si rifà alle 15 giovanissime vittime del crollo della passerella sul Gorzone, 21 maggio 1950), dopo aver retto altre scuole nel cavarzerano (testimone e soccorritrice nei disastri della seconda guerra mondiale) e dopo aver prestato la sua opera in altre parti del Veneto (ad Adria, testimone dell’alluvione del 1951) e d’Italia (madre paziente e amorevole nel campo profughi di Farfa Sabina nel dopoguerra).

Fu lei che, a più riprese, mi narrò con grande empatia e con evidente coinvolgimento, la vicenda qui presentata da Donaggio; me ne parlava soprattutto in riferimento ad un sacerdote diocesano, don Aldo Spanio – per molti anni parroco a Boccasette -, che io imparai a conoscere solo più tardi, a cui era unita da un forte affetto e da una grande stima. Appresi poi che gli era proprio zia da parte di madre e tutto mi fu più chiaro. I sentimenti di intensa partecipazione al racconto che, a dire il vero, a me – ignaro di vicende marinare – sfuggiva nei particolari, rendevano quell’evento una memoria viva, profondamente incisa nel cuore di lei come nell’esperienza di lui. Capivo che sotto c’era un grande dramma, che aveva lacerato e sconvolto l’esistenza di una famiglia – anzi, di più famiglie, per non dire dell’intera città – e dei parenti tutti, e che si era inscritto nell’esperienza personale di Aldo come un’ombra da cui era difficile liberarsi, ma che, attraverso la fede, s’era potuta trasformare misteriosamente in luce, nella testimonianza di dedizione sincera e totale di quel sacerdote. Don Aldo, allora, aveva 10 anni: tra le sei vittime del “Benintendi”, in quel tragico 1° aprile di novant’anni fa, il più anziano – il 42enne capobarca Eugenio Spanio – e il più giovane – il figlio di lui, Corrado – erano rispettivamente suo padre e suo fratello, la cui perdita rimase nel ragazzo di allora come un’insanabile ferita.

Di questa vicenda narra il volumetto che pubblichiamo, opera puntuale e puntigliosa di Ruggero Donaggio, anche lui legato da parentela (cugino per parte di madre) alle due vittime “proprietarie” del bragozzo naufragato con gli altri pescatori imbarcati. La barca operava in coppia con l’altro bragozzo “Aldo S.”, patrimonio della stessa famiglia, il cui nome appunto evocava quello del figlio più giovane, poi sacerdote, Aldo Spanio, insieme probabilmente a quello dell’avo paterno (?…).

Lo stesso autore prende le mosse dal racconto orale dell’evento, trasmessogli dalla madre e soprattutto da una “zia”, ma inizialmente persino dal custode dell’istituto che Ruggero frequentava da studente.

E parte poi, descrivendo con brevi sintetiche pennellate, il contesto della vicenda iniziando, quasi a ritroso, con cenni all’attività turistica che, grazie all’ampia spiaggia formatasi nei primi decenni del ‘900, andò poi ad aggiungersi nel territorio alle attività principali della pesca e dell’orticoltura; per concentrarsi subito, nel mondo della pesca, sul passaggio dalla tartana, più grande e più stabile, al bragozzo, più agile ma anche più rischioso; ma illustrando anche le controverse vicende della portualità clodiense, con i suoi limiti e i colpevoli ritardi… In filigrana si intravvede sempre l’amara riflessione su un lavoro ingrato e pericoloso, a cui i pescatori di Chioggia dovevano dedicarsi per sostentare sé e le numerose famiglie. Il tema centrale del volume – l’evocazione del tragico naufragio – è anch’esso descritto in rapidi tratti, attinti alle testimonianze orali di alcuni e a quelle scritte della stampa dell’epoca, con lo scopo esplicito, dichiarato fin dall’introduzione, di riabilitare la figura di Eugenio – il capobarca, talora da alcuni giudicato come incauto – quale vittima di forze più grandi e incontrollabili e soprattutto come eroico ma sfortunato soccorritore del figlio tredicenne, imbarcato come mozzo. Corale fu la partecipazione della città al lutto per la perdita dei sei pescatori e alla gara di solidarietà a sostegno delle loro famiglie. Episodi del genere non mancarono di ripetersi, purtroppo, nel corso dei decenni, fino ai nostri tempi, come velocemente annota il Donaggio, ribadendo a conclusione, con un sintetico capitoletto, come quello del pescatore sia tuttora, se pur diversamente per modalità di esercizio, “un mestiere ancora pericoloso”: per quanto alleviato dalle tecnologie più moderne – oltre che da un’opera di riscatto e di elevazione della classe peschereccia, avviata e portata avanti dalla fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento, come pure viene accennato nel volume – rimane un lavoro defatigante e usurante, ora condizionato inoltre dal depauperamento della fauna ittica e dai contestuali e indispensabili vincoli crescenti.

Ma il volume consiste, a dire il vero, di più parti: alla prima parte narrativa fa da contrappunto la lunga e corposa serie di note che praticamente ne costituisce, non involontariamente ci pare, la seconda. Preso dalla necessità di venire, nella fase narrativa, al dunque del discorso, per l’autore non c’era tempo di soffermarsi troppo su alcuni particolari che invece trovano ampia illustrazione nelle note raccolte insieme in successione, in una ventina di pagine, arricchite da descrizioni, citazioni e documentazioni. Tutto il volume, per altro, è costellato di un’altra parte che potremmo definire “diffusa”, cioè il notevole apparato iconografico – per la gran parte opera dello steso autore – che evidenzia e rende più palpabili, sia nella narrazione come nelle note, cose, episodi, vicende e personaggi della storia chioggiotta, passata e recente, in cui il dramma del “Benintendi” ha la sua naturale e complessa collocazione e spiegazione.

Uno studio, questo di Donaggio, che intende mettere in chiaro il tragico episodio e fare memoria degli sfortunati protagonisti, ma anche rendere omaggio ai tanti pescatori che hanno affrontato e affrontano con fortezza e costanza un “mestiere pericoloso” e offrire l’occasione per una rivisitazione della storia cittadina da questo specifico punto di osservazione, tra i più caratteristici e caratterizzanti per la realtà locale.

mons. Vincenzo Tosello, direttore di “Nuova Scintilla”