La dimensione simbolica di Gv 4,5-42. Studio ermeneutico interdisciplinare

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Ecerptum ex Dissertatione ad Doctoratum Sacrae Liturgiae assequendum in Pontificio Istituto Lirugico, Romae 1997, pp. 122.

Descrizione

14-dimensionesimbolicaPrefazione
Questo mio studio si rifà ad una precedente ricerca, presentata come “tesi di dottorato” presso 1’ILP di S. Giustina, impostata prettamente nella dimensione “liturgico-ministeriale”, che si avvaleva di un’ampia analisi storica sull’uso di Gv 4,5-42 nei libri liturgici delle chiese latine – specialmente di quelle romana e ambrosiana – dai primi secoli ai giorni nostri. Fu proprio in occasione della difesa di quella tesi che si pensò ad una continuazione e ad un approfondimento del lavoro finalizzandolo all’enucleazione della dimensione simbolica e al confronto con l’attuale filosofia del linguaggio, che tanto punta proprio su di essa.
A partire dal “simbolismo”. Era dunque necessario partire, prima di tutto, dalla “natura del simbolismo” come peculiare dimensione del linguaggio umano e in particolare del linguaggio biblico, per soffermarsi poi sulla specificità del simbolismo giovanneo: a questa esigenza, per così dire “introduttiva”, risponde la prima parte del primo capitolo che analizza il rapporto del simbolo con la vita nella sua carica di sovrabbondanza e pluralità, il rapporto tra simbolismo ed ermeneutica biblica a partire dall’esemplarità patristica e la forte caratterizzazione simbolica del quarto vangelo nelle sue radici veterotestamentarie, teologiche e linguistiche. Valga, al proposito, ricordare la pluridimensionalità della teologia giovannea (amore di Dio, fede-incredulità, dono della vita eterna; teologia della creazione e della Pasqua-alleanza), che si rivela appunto nella ricchezza dei simboli, la sua visione cosmologica e antropologica e la sua proiezione escatologica, quindi il rapporto intrinseco tra segni simboli e culto, la dimensione narrativa nella sua forte rappresentatività e le differenti tecniche stilistiche di simbolizzazione. Si coglie chiaramente come già nella narrazione giovannea l’itinerario della fede è essenzialmente, per quanto anche se ne differenzi, un itinerario ermeneutico (dal vedere al credere, grazie alla forza dell’ermeneuta interiore che è lo Spirito), che via via si ripercuote in modo privilegiato nel lettore e che interpella direttamente al compito dell’attualizzazione del messaggio. Il discorso, evidentemente, si concentra poi – nella seconda parte del primo capitolo – sul testo di Gv 4 che viene ripercorso non con intento specificatamente esegetico, ma piuttosto con l’intenzione di presentare una rassegna ragionata delle principali interpretazioni offerte da quegli esegeti, moderni e contemporanei, che maggiormente si ispirano alla lettura simbolica. Viene messo in luce in via preliminare il carattere singolare di questa perìcope che si presenta come un autentico capolavoro letterario e teologico all’interno di quel capolavoro della letteratura religiosa antica che è il quarto vangelo: una pericope che ben s’inquadra nella teologia pluridimensionale di Giovanni e che nasconde la sua intima grandezza per svelarla soltanto ad un osservatore riflessivo. Così scorrono in una sorta di caleidoscopio i vari quadri della narrazione, illuminati dalle molteplici luci delle interpretazioni simboliche, che puntano soprattutto sul tema dell’incontro, sul mistero dell’acqua viva e della sua provenienza, sul valore del dono, sulla rivelazione del nuovo culto, sull’autorivelazione di Cristo, sul ruolo della donna, sul vero cibo di Gesù, sulla missione dei discepoli e sulla proclamazione finale da parte dei samaritani.
Dalla testimonianza dei Padri. Ma è chiaro che una tale attenzione alla dimensione simbolica si inscrive in una lunga tradizione che affonda le sue radici fin nelle prime testimonianze patristiche ed è appunto su questa che si sofferma ampiamente il secondo capitolo partendo da una veloce rassegna di alcuni accenni sparsi nelle diverse opere per soffermarsi poi sui commentari e concentrarsi infine su testi specifici più legati a un contesto omiletico-liturgico. Già dai primi accenni si possono evincere alcune linee interpretative chiaramente orientate in dimensione simbolica, che poi assumono più consistente determinazione – fino a rasentare l’allegorismo oltre che l’allegoria -nei commentari di grande rilevanza come quello di Origene o nelle omelie di particolare incidenza come quelle di Agostino. Il tema del nuovo culto e la prospettiva battesimale, ad esempio, improntano molte riflessioni patristiche su Gv 4, insieme ad altre considerazioni esegetiche di grande valore, quali l’identificazione comunitaria ed ecclesiale nel personaggio femminile deuteragonista, il valore esemplare del cammino di conversione percorso dalla donna e dai suoi connazionali, la preziosità del dono offerto da Cristo, il ruolo della donna in ordine alla missione attraverso la sua efficace testimonianza. Anche in questo caso si è poi puntato direttamente l’obiettivo sul brano analizzandone con gli strumenti e le intuizioni esegetici offerti dai Padri i diversi nuclei a maggiore caratterizzazione simbolica: l’acqua, la sete, il cibo, le messi, la “vera adorazione”, i “cinque mariti”, i “due giorni”, la “donna di Samaria”, quindi gli elementi liturgici e l’ampio paragrafo dei riferimenti alla Scrittura, per finire con quella che abbiamo definito tout court la “categoria simbolica” esplicitamente adottata e riscontrata dai padri in Gv 4. La ricerca sulle testimonianze degli antichi scrittori si è via via approfondita fino ad includere – anche se poi relegati in appendice – i contributi singolari offerti da alcune “parafrasi poetiche” greche e latine, segnatamente vicini ad una lettura simbolica del nostro testo.
Nell’ambito cultuale: dai libri liturgici alle opere artistiche. Particolarmente significativo risulta, almeno nel tentativo di percorso storico, il terzo capitolo che intende analizzare in maniera sintetica l’uso liturgico della pericope in ambito occidentale attraverso i libri di culto, a cominciare dai primi secoli fino ai giorni nostri, nella convinzione che l’uso stesso sottende un’ermeneutica particolare, che alla prova dei fatti si rivela essa stessa segnata da una forte carica simbolica, oltre che da una significativa polisemia riscontrabile nella pur rara utilizzazione del brano in altri periodi liturgici – quali l’Avvento o il tempo pasquale come documentato nella liturgia aquileiese e in quella gallicana – rispetto all’uso dominante nel tempo quaresimale (al venerdì della III settimana nel rito romano o nella domenica detta della samaritana nei riti ambrosiano e ispanico). Quanto al contesto eucologico, se va rilevato che l’influenza del nostro testo è in genere piuttosto limitata (o addirittura nulla nei formulari coincidenti del rito romano), del tutto singolare e determinante risulta invece nell’articolato formulario eucologico della messa corrispondente dell’antico rito ispanico, ripreso nella più recente edizione della chiesa spagnola, sul quale ci siamo particolarmente soffermati per la pregnanza simbolica e per le implicazioni teologico-liturgiche, che esso riveste. La grande messe di riflessioni patristiche doveva poi confluire almeno in parte negli Omeliari che sono andati costituendosi nel VI-VII secolo, ma tra quelli giunti fino a noi uno solo di essi conserva un testo direttamente riferentesi a Gv 4: si tratta di una parte della classica omelia di Agostino ripresa appunto nell’Omeliario di Wolfenbüttel risalente al sec. IX e redatto nella Germania Occidentale, legato al filone italiano, a sua volta in rapporto con la tradizione africana.
Proprio nel campo dei libri liturgici troviamo elementi significativi nel settore degli Evangeliari. Riproduzioni iconografiche in qualche modo attinenti o esplicitamente riferentisi alle tematiche di Gv 4 abbiamo riscontrato nell’Evangeliario di Soisson (una miniatura
marginale raffigurante Gesù e la Samaritana) e nell’Evangeliario di Saint Lupicin (raffigurazione dell’episodio in una formella in avorio sulla copertina del libro), tutti di ambiente francese. Si passa così, quasi in dissolvenza, dai documenti scritti alle opere liturgico-cultuali di arte visiva – settore che ci pare caratterizzi in modo significativo la presente ricerca proprio perché già si colloca in una reinterpretazione ad altro livello non più solo nei testi, ma nelle “opere”, e nelle opere artistiche in particolare la cui specificità di linguaggio è esattamente quella simbolica. In quest’ambito è appunto da segnalare una relativamente abbondante presenza di raffigurazioni del nostro episodio per i primi due-tre secoli dell’era cristiana anche in ambiente romano, e per i secoli successivi soprattutto in ambiente gallicano e alto-italico. Qui il linguaggio simbolico – dettato sia dalla necessità di concentrare in un unico quadro gli elementi più rappresentativi, sia dall’eventuale accostamento con raffigurazioni di altri episodi scritturistici – raggiunge forti connotazioni. La carica simbolica del soggetto ci è apparsa evidente. Il valore ecclesiale delle raffigurazioni è emerso sia negli affreschi delle catacombe romane del II-III secolo, sia nei bassorilievi dei sarcofagi, soprattutto della Gallia, del IV-V secolo, sia nei mosaici più evoluti del battistero di S. Giovanni a Napoli o della Chiesa di S. Apollinare nuovo a Ravenna, come anche in altri minuti oggetti o suppellettili del culto. Ci sono apparsi chiari, in questo ambito documentario, soprattutto il profondo nesso con la teologia e la pratica sacramentale del battesimo, l’insito appello al compimento escatologico e, in modo significativo, anche la valenza eucaristica dell’episodio.
Nell’excursus che ci aveva poi condotti a investigare anche nei libri liturgici più recenti e negli attuali – almeno in quelli di rito romano, ambrosiano e ispanico – abbiamo avuto modo di verificare un certo incremento della presenza della nostra pericope, sia in un numero maggiore di formulari eucaristici, sia nei riti diversi dalla messa (ad esempio nella Liturgia delle Ore e nel rito del Battesimo), sia, in particolare, in una più approfondita comprensione delle tematiche ad essa soggiacenti, quali il nuovo culto e la dimensione catecumenale-battesimale, in maggior sintonia con le intuizioni dei padri e con gli stessi reperti dell’arte cristiana antica.
Nella filosofia del linguaggio. Ma ciò che connota in modo peculiare questo nostro lavoro è appunto il tentativo di rilettura ermeneutica, condotto su queste basi documentarie, attraverso la chiave di volta della filosofia contemporanea, segnatamente sulle tracce di un pensatore rappresentativo quale indubbiamente è Paul Ricoeur. Il testo ci è così potuto apparire come “evento simbolico dell’esistenza”, riscoprendo in esso l’intrinseca dinamica ermeneutica e la sua caratterizzazione di evento ermeneutico, che spingono a una reinterpretazione dell’esistenza stessa nella sua altrettanto esperibile dinamica ermeneutica, che a sua volta rende possibile un ritorno al testo capace ormai di illuminare i singoli aspetti dell’esistenza in modo molteplice e inatteso. E’ qui, ci pare, il guadagno che può ottenere il lettore, che diventa a sua volta ermeneuta e che si lascia interpretare dal testo interpretandolo.
Ampi spunti ci ha offerto il filosofo francese attraverso la sua teoria simbolica del linguaggio, grazie al rapporto tra linguaggio ed ermeneutica, tra testo e mondo del testo, tra metafora e referenza, tra linguaggio religioso e fede biblica, e ancora grazie ai concetti peculiari della “metafora viva” e del “simbolo che dà a pensare”. Così il nostro testo – diventato ormai emblematico rispetto a numerosi altri testi scritturistici – ci è apparso un testo eminentemente simbolico nel suo dinamico rapporto con infiniti lettori, nel “mondo dell’opera” che esso sottende e nella possibilità di autocomprensione che permanentemente offre ad ogni ermeneuta che intenda accostarlo.
Il nostro testo appare così punto di convergenza, quasi un apice di un fluire anteriore e posteriore di intrecci e di arricchimenti, di intuizioni e di affermazioni fissate volta a volta in una pagina (o anche in altro tipo di supporto), o affidate invece al fatuo suono della voce nel grande gioco linguistico dei secoli, dei continenti e delle generazioni. Non “mero” testo, ormai, ma un’infinita serie di interpretazioni. Un “conflitto” di interpretazioni – per usare un’espressione appunto cara a Ricoeur – che andrà articolandosi e accentuandosi attraverso la ricerca dei significati differenti, complementari e convergenti, compatibili o contrapposti: un conflitto che paradossalmente arricchisce il medesimo testo, anziché vanificarlo.
Di questa elaborazione e maturazione progressiva sono stati testimoni e artefici tutti gli attori che si sono succeduti nel rapporto con il testo: dagli scrittori cristiani antichi, che l’hanno riletto e commentato, agli esegeti moderni, dalle comunità celebranti dei primi secoli a quelle contemporanee che l’hanno pregato e meditato in determinati contesti liturgici o in determinate realizzazioni plastiche. Assistiamo così ad un processo continuo di metaforizzazione e di simbolizzazione che offre un “di più di senso” al testo stesso. E’ questa infatti – ce lo ricorda appunto Ricoeur – la chiave che apre il testo a una polisemia arricchente. Sia nel linguaggio dei Padri, sia in quello delle comunità celebranti, come nel linguaggio artistico-cultuale, spesso è la dimensione poetica e simbolica a far mettere le ali al testo. Ed è esattamente nella dimensione simbolica – sulla linea di quella che Ricoeur definisce appunto “metafora viva” – che si percepisce l’itinerario verso una “verità tensionale” molto più ampia e completa, nella cui direzione spinge appunto la metafora, intesa non in senso retorico, ma a livello semantico.
Veniamo così ad avere una sorta di “liberazione” del testo, oltre ogni vincolo, verso l’infinito del senso, attraverso il “di più” di senso che il linguaggio simbolico gli imprime e attraverso il rincorrersi delle interpretazioni nel gioco permanente del linguaggio.
Il nostro testo e la sua utilizzazione nei secoli ci hanno offerto numerosi esempi di quella che Ricoeur definisce “sopraelevazione di senso” come caratteristica fondamentale della prospettiva metaforica: ciò è vero sia all’interno del brano stesso con le metafore dell’acqua o del cibo o delle messi, sia nell’itinerario percorso dal testo attraverso le riletture patristiche e l’interpretazione liturgica che hanno spesso colto nell’esperienza della donna quasi una metafora della vita dell’uomo o della comunità. E’ con occhio sempre nuovo che viene vista la realtà, poiché il simbolo – come ancora ci assicura Ricoeur – “rifà efficacemente la realtà” per chi ne coglie il senso più profondo. Il “dinamismo della significazione” viene provocato e accentuato esattamente nella misura in cui viene applicata la forte carica della rilettura simbolica, come ci è apparso chiaro nella nostra ricerca. Questa “trasformazione” progressiva del testo non ne danneggia per altro l’integrità ma ne fa cogliere invece l’estrema ricchezza e, per così dire, la “transevenemenzialità”: proprio il corso dei secoli è chiamato a portare a compimento le intuizioni precedenti poiché c’è sempre un modo per reinterpretare e perfezionare quanto è stato lasciato in eredità.
Il testo e l’esistenza. L’opera del lettore e dell’ermeneuta, che risponde alla “distanziazione” del testo, è da una parte un processo di “appropriazione” del testo medesimo che lo spinge a “pensare di più” in una continua “decontestualizzazione” per una nuova “contestualizzazione”, e dall’altra è un progressivo entrare nel “mondo dell’opera” per autocomprendersi davanti al testo in una produttiva possibilità di liberazione. E questo è apparso vero nella liberazione che consegue all’autocomprendersi nell’esperienza narrata della donna di Samaria, come nella liberazione che sperimenta il singolo o l’assemblea orante che medita e prega e raffigura il testo nella dimensione sacramentale o in quella escatologica, come nella liberazione annunciata e provocata nella riflessione omiletica o dell’esegeta di ogni epoca: il progrediente processo di metaforizzazione e di simbolizzazione si rivela di una fecondità inattesa, nonostante, anzi attraverso la distanza. I grandi temi della ermeneutica ricoeuriana, che è non solo ermeneutica del testo ma ermeneutica dell’esistenza, si colgono rispecchiati in modo emblematico in questa pericope e ad essi la pericope offre una luce nuova. Il rapporto tra finitudine dell’uomo e libertà, la complessità originaria della “simbolica del male”, l’economia del dono e la libertà secondo speranza, l’ermeneutica stessa dell’azione, la dimensione narrativa e l’insito appello etico dell’esistenza, la funzione determinante dell’alterità, il processo che va dall’attestazione di sé all’ontologia, dall’altro all’Altro (con l’A maiuscola), il nesso inscindibile tra etica, libertà e liberazione.
L’esistenza, nel testo come nella vita, ci appare allora come un itinerario – il cammino dei personaggi, come quello delle comunità e delle interpretazioni -, come un incontro – l’incontro tra Gesù e la donna, ma anche l’incontro del testo con i suoi fruitori, persone o istituzioni che siano -, ci appare ancora come storia vissuta -dai personaggi del racconto e dal cammino del testo in perenne tensione tra storia ed escatologia -, e ci appare pure come vera e definitiva liberazione nella logica del dono e della salvezza. Non è stato difficile dunque passare dalla filosofia al testo, constatando in qualche modo applicate le categorie di distanziazione e di appropriazione, la forza della poetica e della metafora in parole-simbolo evidenti o in altre figure e dati simbolizzati già nel testo o dalla tradizione, l’alterità nell’Io sono, la voce della coscienza che si esprime nella voce dell’interlocutore e degli interlocutori, l’identità narrativa che si snoda nel tempo del racconto e in quello dei secoli.
E per questo è stato anche possibile cogliere la pluridimensionalità del testo in rapporto alla vita dell’oggi – il che costituisce quasi il livello esemplificativo di tutto il nostro lavoro. Una pluridimensionaltà stimolante nella revisione del rapporto uomo-donna, nel preoccupante fenomeno degli emergenti conflitti inter-etnici, nella tensione permanente tra incomunicabilità e comunicazione, nella ricerca di un’etica della coscienza, nel rinnovamento della dimensione cultuale, nel rapporto tra annuncio e missione e in quello più problematico tra carisma profezia e ministero, ma anche nell’ansia di liberazione e nel rapporto talora conflittuale tra la dimensione ecologica e il lavoro umano, oltre che nel determinante “senso della storia”.
E’ infine nelle indicazioni conclusive che veniamo a definire le successive tappe di quel processo di metaforizzazione che abbiamo visto operante nel testo e nel suo itinerario ermeneutico e questo già nella pericope nel rapporto Gesù-donna, e in quello tra comunità e testo oltre che nel testo . tesso, e ancora nel rapporto tra testo e lettori, in quelli mediati tra testo-ermeneuta-lettore e tra testo-ermeneuta-comunità ricevente. Nelle stesse conclusioni veniamo infine a recuperare l’importanza documentata del metodo “archeologico” che si rifà alle radici del testo e dell’esperienza umana, l’efficacia determinante del metodo “teleologico” che offre al testo come alle sue intepretazioni una vitale finalizzazione e infine il valore propulsivo del metodo “escatologico” che dona il compimento ultimo ad ogni attesa testuale ed esistenziale.
Peculiarità e prospettive del presente lavoro. Ci sembra vada sottolineata soprattutto la “peculiarità” del presente lavoro: cioè la sua interdisciplinarietà sia a livello sincronico che a livello diacronico, in altre parole il tentativo di accostare un medesimo testo nella dimensione teologica, liturgica, patristica, esegetica, artistica e filosofica, e nello stesso tempo nella sua dimensione storica analizzandone il percorso nei secoli, l’approfondimento linguistico e la stessa prospettiva etica: uno sguardo cioè appunto storico-liturgico-ermeneutico.
La rassegna esegetica si può certo dire che è meno incisiva, dal momento che è appunto rassegna e non trattazione o analisi sistematica, ma d’altro canto più completo e stimolante appare, a nostro avviso, lo studio a livello patristico. Il percorso storico-liturgico può apparire anch’esso meno approfondito perché s’appoggia su di un precedente lavoro dando alcune acquisizioni per scontate; ma d’altro canto emerge significativamente l’analisi dell’ambito ispanico e, in modo particolare, a mio avviso, un’apertura ermeneutica d’eccezione è offerta
dalla dimensione artistico-cultuale che pure avrebbe meritato una sintesi. La parte senza dubbio prevalente in termini quantitativi come in termini qualitativi ci sembra possa essere identificata proprio in quella più specifica di questo lavoro, dove cioè si tenta la reinterpretazione della pericope con categorie filosofiche – ma profondamente radicati nel portato dell’esegesi, della liturgia e della vita. La differenza di ambiti può aver comportato anche una qualche differenza di metodo, che viene però assorbita nella collocazione interdisciplinare del lavoro, attraverso una metodologia di approfondimento ciclico. Si può dire che il IV capitolo – che emerge nell’insieme – costituisce un po’ il punto di arrivo di tutto il discorso e d’altro canto le conclusioni vertono soprattutto su questo aspetto pur facendo tesoro delle acquisizioni precedenti. L’originalità del lavoro si può ravvisare, oltre che nella metodologia complessiva – appunto quella interdisciplinare – anche nel tentativo di proposte perché il testo doni più senso all’oggi della chiesa e del mondo. Di fatto non esistono in letteratura tentativi del genere, anche se timidamente prospettati e intuiti come validi da qualche autore. Si è voluto con questa ricerca offrire un tracciato plausibile per un lavoro che si prospetta immenso a riguardo di tutto il testo sacro, di cui la nostra pericope è apparsa come emblematica. Un percorso nuovo, dunque – in qualche modo “pionieristico” – quello prospettato in questa tesi, che a mio avviso può risultare fecondo di molti stimoli per il futuro. Appunto in quanto pionieristico, il lavoro abbisogna di aggiustamenti, ma è chiaro che si è – a mio parere – aperta una strada. E come l’ermeneutica ricoeuriana ci ha soccorso nell’approfondimento ermeneutico così si può dire che il nostro lavoro conferma – se ce ne fosse bisogno – la validità dell’ermeneutica del filosofo francese contemporaneo, non estranea all’universo biblico.
La ricerca fin qui condotta offre a mio avviso certamente un apporto utile al lettore, costituendo la sintesi di differenti intuizioni messe insieme per aprire nuovi orizzonti, come è avvenuto di fatto per me, che nella curiosità di scoprire un percorso ho potuto sperimentare la sorpresa di una ricchezza inusitata a livello simbolico, una dimensione praticamente infinita della Parola nella forza del simbolo.
L’abbondante materiale raccolto ed esposto costituisce certo una miniera preziosa; la consistente bibliografia come il comparto delle note talora sovrabbondante costituiscono, dal canto loro, un altrettanto prezioso sottofondo. L’impianto dello schema mi sembra riveli palesemente un disegno che ha il suo sviluppo e chiarimento appunto nel capitolo conclusivo.
E’ dunque possibile, proprio attraverso la dimensione simbolica del linguaggio – del resto all’opera fin nel testo e fin dai primi accostamenti a Gv e poi nell’arte che è “simbolica” per eccellenza e ora in numerosi esegeti – acquisire un di più di senso. In Gv 4 – più volte definito testo emblematico – questo è apparso peculiare per la pregnanza dei simboli stessi, per la forza della parola, per l’intreccio narrativo, per la convergenza dei personaggi, per la fitta serie di problematiche che rivelano una perenne attualità e che si illuminano del testo come il testo si illumina di esse.
Per un paradosso potremmo dire che proprio la dimensione simbolica di un testo fa sì – come abbiamo potuto sperimentare – che esso diventi tanto più significativo quanto più i lettori ne sono temporalmente lontani e ne hanno acquisito il maggior numero di simbologie e sanno – nella inesauribilità del simbolo – rileggerlo e pregarlo nel tempo che avanza verso l’escaton.
Quello che viene pubblicato in questo volume, oltre all’indice completo e alla Bibliografia, è solo il 2° capitolo, relativo alla “interpretazione patristica”, che costituisce una parte caratterizzante del lavoro e certamente significativa già in se stessa.
L’Autore

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