Martirio et translationi De Santi Felice et Fortunato Protettori della Città di Chioggia

10,00

Pietro Morari

Trieste 1637: copia anastatica (a cura di V.Tosello), Chioggia 2004, pp.XIV,66,8*.

Descrizione

38-Martirio-etPresentazione

Presentazione Grazie all’autorizzazione concessa dall’Accademia dei Concordi di Rovigo ci è possibile dare alle stampe in copia anastatica la preziosa seicentesca operetta sui Santi Felice e Fortunato, stesa con passione e venerazione dal chioggiotto Pietro Morari, già canonico della Cattedrale clodiense, quando ormai era vescovo di Capodistria, quale omaggio alla sua città natale. Un tempo posseduta anche dall’archivio del Seminario Vescovile, l’opera era ormai risultata introvabile e per molto tempo vane sono state le ricerche di una copia originale, per quanto più di qualche collezionista poteva esibirne il testo in fotocopia. Finalmente la disponibilità della dottoressa Laura Sassetto – che aveva avuto modo di compulsare il testo per la sua tesi di laurea – e la segnalazione dell’amico Matteo Doria – che l’aveva casualmente scovato negli scaffali dell’Accademia rodigina, contenuto in miscellanea, rilegato insieme ad altri scritti – ci hanno permesso di rintracciare l’opera (non documentata negli elenchi bibliografici ufficiali), che figura come la prima a stampa sulla vicenda dei Santi Martiri Felice e Fortunato e sulla storia delle loro reliquie.

Il lavoro del Morari – da lui stesso definito nella dedica quale “picciol segno d’affetto” alla “Spettabile Città di Chioggia Nobile per l’antica origine Troiana, più nobile per tanti figli in ogni professione illustri” – consta di sole 66 pagine di piccolo formato in cui l’autore condensa la narrazione dichiarando di non scostarsi punto “dalla passione, che negli antichissimi Libri manoscritti della nostra Chiesa Cattedrale di Chioggia si legge, da gli autentichi Stromenti, da gli Storici più veridici, e da quelle cose, c’ho vedute, e à quali son intervenuto” (p. 7). Redatta – come si vede – in pieno clima seicentesco, in realtà l’opera, sia per lo stile sia per la grafica, non è immediatamente fruibile ai nostri tempi per una lettura scorrevole e aggiornata.

Tuttavia, per la forte carica emotiva e per la intenzionalità chiaramente didascalica, merita di essere tenuta in considerazione, quale esempio significativo di una precisa impostazione agiografica che ha segnato la storia di molti secoli fino a non troppi anni da noi. Valga al proposito un’altra curiosa citazione relativa al momento culminante del martirio: “Liberate quelle Felici dunque, e Fortunate anime dalla soma de corpi loro, abbracciatesi insieme con le palme di vittoria in mano se ne volarono in seno al Padre eterno con gran giubilo, e festa de gli Angioli tutti, e de Santi, che assistenti furono alla gloriosa, e trionfante pugna, che contro gli nimici di Dio sì virilmente, e corragiosamente fecero” (p. 30.). Il libretto ha anche valore documentario su due episodi cruciali dei quali lo stesso Morari – che li narra con passione e partecipazione -fu testimone oculare: la ricognizione ordinata dal vescovo Prezzato nel 1608 e il salvataggio delle reliquie dall’incendio della cattedrale del 1623.

Ne anticipiamo i passaggi salienti. Sul primo evento, compiutosi tra la trepidazione e il santo timore dei presenti, egli narra: “Poiché con grandissima fatica fù quella pietra alquanto levata, e fatto il lume vicino, furono vedute chiaramente le Reliquie santissime, le quali da ogn’un reconosciute l’un l’altro con grand’allegrezza s’abbracciassimo, e cantassimo il Te Deum laudamus etc. con l’Oratione di rendimento di gratie all’eterno Dio vivente, e fu datta la voce fuori: perché si suonassero le Campane in segno d’allegrezza. Scoperta (com’è detto) la pietra apparvero le Reliquie d’un corpo intiero disteso, con la testa separata appresso il collo con un cerchio di sangue congellato, e ivi accanto una spalla di Santa Cecilia, e trà un brazzo, e il corpo un vase, ò bicchier di christallo pieno di Manna di San Giovanni Evangelista” (50) Sull’incendio invece solo un cenno per poi dilungarsi piuttosto sulla capacità della città – le cui origini, egli ribadisce, si collegano nella leggenda con la mitica Troia – di rialzarsi sempre dopo i ripetuti incendi: “L’anno 1623 doppo il Vespero di Natale fù serato il fuoco (come si crede) nell’Organo, il quale la notte arse tutta la Chiesa senza che alcuno se n’accorgesse, se non alle undeci, o dodici hore. E miracolosamente si salvarono le Reliquie predette(essendo abbruggiato tutto il resto) e furono portate nella Chiesa di Sant’Andrea, e riposte sotto l’Altare maggiore”.

Da qui in poi – come già aveva fatto all’inizio – il Morari si rivolge direttamente alla città, apostrofandola ora con lo stesso nome dei santi e arricchendo il tutto con una serie di metafore collegate all’ubicazione geografica, al tipico emblema del leone e ad altro ancora: “O’ Chioggia dunque felice, e fortunata, ben sì ti puoi gloriare di trar l’origine tua da quell’antico Clodio Troiano; ma molto più per il longo riposo, che in te fanno quelle Sante Reliquie” (58-59). La cronologia, posta al termine dell’operetta – che si conclude poi con due antifone e un’orazione in latino -, risente delle conoscenze di allora e comunque rappresenta un dato rispettabile, e in certa misura anche affidabile, della locale tradizione. Il testo era ed è corredato da un interessante apparato iconografico: in copertina le due immagini stilizzate con la palma in una mano la palma e nell’altra una chiesa (presumibilmente la basilica di Aquileia, o di Vicenza, e l’antica cattedrale di Chioggia), all’interno, nella seconda di copertina, è ritratto l’episodio dell’apparizione della Madonna della Navicella; nella terza di copertina poi i due martiri sono ritratti in vesti militari, con palma e spada, la corona sospesa sul capo e sullo sfondo la città di Chioggia, mentre un’altra scena, in basso ritrae il momento della decapitazione; in ultima, infine, sono riprodotte in sei scene, a guisa di una tavola a fumetti ante litteram, la scena dell’arresto e le cinque fasi delle torture specificate da un cartiglio.

L’operetta che rieditiamo in questa ricorrenza del XVII centenario del martirio dei Patroni Felice e Fortunato forma una sorta di trilogia con il ben più moderno album a fumetti, affidato all’arte consumata del concittadino Luca Salvagno, che narra in modo vivace e avvincente per i bambini e i ragazzi la storia dei giovani Santi vicentini, e con il volume più scientifico, in corso di preparazione, che riporterà fotocronaca e relazione sulla ricognizione, compiuta in occasione del centenario, oltre ad altri testi e ricerche effettuate sul materiale conservato nell’urna e sulla memoria dei Santi Patroni nel nostro territorio. L’edizione che presentiamo è completata da una breve Prefazione illustrativa, da una Nota biografica sull’autore e da una Nota bibliografica sulle principali pubblicazioni relative ai due Santi Martiri. Affidiamo quest’agile volumetto alla città e alla comunità diocesana, agli amanti delle cose patrie e delle cose antiche, agli appassionati collezionisti – che ora potranno sostituire più dignitosamente le loto fotocopie… – e a quanti vorranno, pur con la necessaria pazienza e attenzione, ripercorrere pagine preziose di storia e di devozione intorno alle figure dei Santi Patroni clodiensi, che diedero la loro coraggiosa testimonianza di fede, di speranza e di amore 1700 anni fa ad Aquileia, sulle rive del fiume Natisone.

Chioggia, 11 giugno 2004

Vincenzo Tosello direttore di “Nuova Scintilla” e arciprete della Cattedrale

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