Chiostri e cori monastici in Chioggia

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Chioggia 2015, pp. 156

Descrizione

Chiostri-cori-monastici-ChioggiaNota introduttiva

“Bernardo amava le valli, Benedetto i colli, Francesco i paesi, Domenico le grandi città” è la resa italiana di un adagio latino che tipicizza santi e luoghi monastici. Mancano, come si può notare, i luoghi rivieraschi; eppure Cistercensi, Benedettini, Francescani e Domenicani hanno onorato della loro presenza per secoli anche tali luoghi, e sono tuttora presenti nella laguna veneta. Ovviamente non si può affidare alla semplice topografia dei luoghi una generale interpretazione dei chiostri: occorre esaminare più da vicino le diversità di stile e di caratura spirituale dei singoli Ordini.

Forse più di qualche lettore si chiederà se valesse la pena scomodare il Medioevo, il secolo della Riforma o il gaio Settecento per interpretare il volto religioso di Chioggia. Del resto le chiese prospicienti il Corso e i numerosi ‘capitelli’ delle calli offrono l’immagine di una città vistosamente segnata dal cristianesimo.

Credo tuttavia che quello che vediamo oggi non basti da solo a rendere ragione della corposa eredità lasciataci dalle generazioni trascorse.

Edifici, lapidi e manufatti contengono messaggi che emergono dal passato e che vanno perciò interpretati. Per intendere il volto cangiante di una città, occorre pescare anche nel passato talvolta più remoto.

Dal passato remoto vengono appunto i resti ‘vetusti’ del patrimonio artistico di Chioggia. Sono legati alle espressioni religiose più radicate in Città (l’amore al Cristo e alla Vergine, la devozione verso i santi Patroni, la venerazione dei defunti, l’attenzione verso l’eucaristia), che monasteri, conventi e confraternite — con il senso vivo della tradizione – hanno veicolato fino ai tempi moderni, anche attraverso esercizi particolari quali la Via Crucis, la Via Matris, la pratica del rosario, l’ottavario dei defunti, le cento requiem, le quarantore, i tridui e le novene; e attraverso paraliturgie collegate con il dramma sacro, come sono il ‘Compianto sulla Morte di Cristo’, la ‘Devozione della Santa Croce’, le ‘Tre ore di Agonia del Signore’: tanto per ricordare pratiche devozionali che più hanno resistito all’evoluzione culturale.

Dai tempi remoti viene Yonomastica che compare negli archivi del Comune e della Curia, come anche i nomi che affiorano dal patrimonio epigrafico civile e religioso della Città. Non va dimenticato che anche il santorale — supportato tra l’altro dalla devozione alle reliquie — nella sua evoluzione ha ispirato praticamente i nomi propri: dai nomi biblici (Pietro, Paolo, Elisabetta, Maddalena, Maria, Lia, Giovanni, Giacomo, Stefano, Matteo, Giuseppe), a quelli bizantini (Gregorio, Teodoro,Elena, Anastasia, Sergio, Bacco, Giorgio, Nicola); dai nomi latini (Lucia, Agnese, Cecilia, Martino, Cipriano, Felice, Lorenzo, Ignazio, Agostino, Benedetto), a quelli medievali (Francesco, Domenico, Bernardo, Chiara, Caterina, Vincenzo, Egidio), fino a quelli moderni (Doralice, Teresa, Camillo, Roberto, Gino, Oscar, Adolfo, Alfonso e altri). Per stare solo all’esemplificazione.

Talvolta accade che attraverso le tracce più remote si recuperino — per così dire — i simboli di un’identità religiosa. Si dà anima a ciò che ancora sopravvive nelle strutture o, perlomeno a livello subliminale, nel ‘profondo’ dell’oggi: si intravvedono le radici più lontane di una cultura.

Gli antichi chiostri superstiti trasudano studio e penitenza, testimoniano interiorità. Dal canto loro i cori monastici profumano d’incenso e di preghiera, parlano di una vita cadenzata a ritmo ripetitivo, ma

anche di slanci mistici. Ridicono un mondo che il tempo ha reso evanescente e che arrischia di vanificarsi nell’oblio. Gli uni e gli altri conservano effettivamente briciole della nostra storia che non vanno abbandonate all’insignificanza. Conservano orme della storia della Chiesa e lasciano intravvedere le stagioni del risveglio religioso: dopo l’eroismo del monachesimo degli inizi, il ritorno alla pagina evangelica con gli Ordini mendicanti (1100-1200), lo slancio della missione dopo il Concilio di Trento (1545-1563), l’esperienza dell’universalità dopo il Vaticano Il (1962—65).

Nelle pagine a seguire, di ogni chiostro si percorrerà a grosse volute la storia, si ricorderanno alcuni tra i personaggi più significativi, si evidenzieranno le principali opere d’arte già custoditevi e i pochi resti giunti fino a noi.

Alle notizie spigolate tra le pagine degli storici locali di cose sacre e profane ho aggiunto qualche altra notizia tratta dalle relazioni delle periodiche Visite pastorali, eseguite dai vescovi ai monasteri e ai conventi in base al dettato del Concilio di Trento. È risultato così questo volumetto, destinata a chi desideri farsi un’idea di massima sulla vita degli antichi monasteri, i quali hanno trasmesso alla Città cultura, spiritualità e arte.

L’opera non ha alcuna pretesa scientifica, documentaria o letteraria.

In brevitate et simplicitute cordis!

Giuliano Marangon

 

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